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Cagliari 2034: una città in bilico tra identità locale e omologazione globale

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Cagliari 2034: una città in bilico tra identità locale e omologazione globale

La recente apertura di un nuovo fast food nel centro di Cagliari non è solo una questione commerciale, ma il simbolo di una trasformazione più profonda che sta lentamente erodendo l’identità della città, tra standardizzazione globale e perdita del tessuto sociale locale.


Cosa sarà Cagliari fra 10 anni?

Sono giorni che penso all’ennesima catena di fast food che ha aperto in centro. E il punto non è l’apertura di un nuovo punto vendita, ma l’erosione progressiva del nostro patrimonio urbano.

Non è una battaglia contro il pollo fritto o la modernità. Che il pollo fritto è pure bono. È la preoccupazione per un processo di omologazione che sta trasformando le nostre città in scenografie intercambiabili, dove l’identità locale viene gradualmente sostituita da un’esperienza standardizzata e globalizzata. Luoghi che nascono come funghi, identici da nord a sud.

Le attività locali si trovano a combattere una battaglia impari contro colossi internazionali. Non è solo una questione economica – anche se l’impatto degli affitti in crescita e della concorrenza è devastante – ma culturale. Ogni serranda che si abbassa porta con sé connessioni umane che hanno costruito il tessuto sociale dei nostri quartieri.

Cagliari ormai è una cartolina per croceristi. La quotidianità si appiattisce su un’offerta sempre più omologata e disconnessa dal territorio. 

La vera ricchezza di una città si misura nella sua capacità di preservare e rinnovare la propria identità, gastronomica e non solo.

La soluzione starebbe nelle nostre scelte quotidiane come consumatori e nelle politiche urbane che decidiamo di sostenere. Perché quando un luogo perde la sua anima, perde molto più che ristoranti, botteghe, piccoli esercizi commerciali: perde la sua capacità di raccontare storie, di creare connessioni, di nutrire le caratterizzazioni e mantenere la propria riconoscibilità

E io continuo a chiedermi “cosa sarà Cagliari fra 10 anni?


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Fare comunicazione è una responsabilità sociale

In un’epoca in cui la narrazione gastronomica si sta trasformando in un flusso continuo di contenuti standardizzati, emerge l’urgenza di riflettere sulla responsabilità sociale di chi racconta il cibo e i territori, per preservare l’autenticità delle storie e il valore culturale della tavola. Che voglia di ribaltare tutto, ultimamente. Mi sento ispirata e al contempo ho bisogno di rallentare e osservare.⠀Mi guardo attorno e ho la sensazione che tutto si sia omologato, che ogni narrazione sia uguale e che sia sufficiente citare una sola volta una parola, un luogo, un piatto, un ingrediente, una persona per poi rivederli in serie ovunque e che, al contempo, l’identità dei luoghi si stia snaturando in favore di una comunicazione fast.⠀Le storie gastronomiche e territoriali assumono sempre più spesso tratti così spinti da sfiorare la pornografia dell’idillio e del gusto, in una rincorsa all’esaltazione dello chef, star del momento, o alla celebrazione di piatti, in un racconto sempre più svuotato di cultura. Se nel breve periodo si riduce a chiacchiere da bar, nel lungo periodo distrugge un settore e un territorio. ⠀Le dinamiche sociali della tavola si sostituiscono a una rincorsa ai contenuti in serie, all’esserci, al sensazionalismo. La comunicazione si impoverisce perdendo valore, etica e personalità.  Esiste una responsabilità sociale nel fare comunicazione, ed è duplice: quella del professionista che sceglie i propri clienti e le storie da scrivere, e quella del ristoratore o produttore che si affida per farsi raccontare.  C’è poi la responsabilità di chi usufruisce di quei contenuti (un post, una newsletter, un articolo, un podcast, un video); quale narrazione sta alimentando?  Se mangiare è un atto civico, come scrive Ducasse, la comunicazione è una responsabilità sociale.

Cagliari 2034: una città in bilico tra identità locale e omologazione globale

La recente apertura di un nuovo fast food nel centro di Cagliari non è solo una questione commerciale, ma il simbolo di una trasformazione più profonda che sta lentamente erodendo l’identità della città, tra standardizzazione globale e perdita del tessuto sociale locale. Cosa sarà Cagliari fra 10 anni? Sono giorni che penso all’ennesima catena di fast food che ha aperto in centro. E il punto non è l’apertura di un nuovo punto vendita, ma l’erosione progressiva del nostro patrimonio urbano. Non è una battaglia contro il pollo fritto o la modernità. Che il pollo fritto è pure bono. È la preoccupazione per un processo di omologazione che sta trasformando le nostre città in scenografie intercambiabili, dove l’identità locale viene gradualmente sostituita da un’esperienza standardizzata e globalizzata. Luoghi che nascono come funghi, identici da nord a sud. Le attività locali si trovano a combattere una battaglia impari contro colossi internazionali. Non è solo una questione economica – anche se l’impatto degli affitti in crescita e della concorrenza è devastante – ma culturale. Ogni serranda che si abbassa porta con sé connessioni umane che hanno costruito il tessuto sociale dei nostri quartieri. Cagliari ormai è una cartolina per croceristi. La quotidianità si appiattisce su un’offerta sempre più omologata e disconnessa dal territorio.  La vera ricchezza di una città si misura nella sua capacità di preservare e rinnovare la propria identità, gastronomica e non solo. La soluzione starebbe nelle nostre scelte quotidiane come consumatori e nelle politiche urbane che decidiamo di sostenere. Perché quando un luogo perde la sua anima, perde molto più che ristoranti, botteghe, piccoli esercizi commerciali: perde la sua capacità di raccontare storie, di creare connessioni, di nutrire le caratterizzazioni e mantenere la propria riconoscibilità.  E io continuo a chiedermi “cosa sarà Cagliari fra 10 anni?

Franco Pepe al 7pines | © Jessica Cani

Franco Pepe e Pasquale D’Ambrosio riscrivono il concetto del lusso in Gallura

Al 7Pines di Baja Sardinia, con la cucina della pizzeria Spazio e del ristorante Capogiro, l’opulenza e l’eccesso della vicina Costa Smeralda cede il passo a una nuova filosofia, più sottile e significativa, che trova la sua massima espressione nella semplicità curata e nell’autenticità delineando il nuovo volto del lusso contemporaneo. Nel panorama che definisce la Costa Smeralda e i suoi dintorni, dove il lusso è da sempre sinonimo di opulenza e ostentazione, ridefinire i canoni dell’eccellenza potrebbe sembrare complicato. Eppure, in questo contesto saturo di sfarzo, dove spesso l’apparenza ha eclissato la sostanza e l’eccesso ha prevalso sulla qualità, emerge una realtà che sfida le convenzioni: il 7Pines Resort. Incastonato tra i graniti della Gallura, la struttura del gruppo Hyatt si distingue per la sua capacità di fondere l‘eccellenza gastronomica con un’ospitalità raffinata. Il resort si fa portavoce di un’esperienza immersiva che valorizza l’autenticità del territorio e la qualità intrinseca di ogni dettaglio. Ciò che segue è il resoconto della mia esperienza di fine agosto, con una riflessione su come il vero lusso, nell’era contemporanea, si manifesti attraverso la semplicità, curata e con un profondo rispetto per il contesto in cui si inserisce. Il 7Pines: raffinatezza e autenticità in Gallura Inaugurato nell’agosto 2022, il 7Pines Resort si trova su un promontorio che offre vedute mozzafiato sul mare, la Macchia Mediterranea e i graniti galluresi. In un’area rinomata per il suo prestigio, il 7 Pines si distingue per la sua interpretazione sofisticata del “lusso rilassato”. Il resort conta tre ristoranti, tre bar, la Pure Seven Spa, un Kids Club educativo e strutture sportive. Ciò che colpisce è la dedizione nel valorizzare l’essenza del territorio: dalla scelta dei materiali alla selezione del personale, fino alle esperienze uniche offerte agli ospiti. Le camere, veri e propri rifugi di comfort, si fondono con l’ambiente circostante. La colazione merita una citazione perché offre sfogliati interessanti come sfogliatelle e pasticciotti che evocano i sapori della mia amata Campania, oltre ai classici croissant, pain au chocolat e differenti tipi di pane. Spazio: l’arte della Pizza di Franco Pepe Il modo in cui ho vissuto l’esperienza gastronomica del 7Pines me lo ha mostrato come tempio dedicato al trittico sacro della gastronomia italiana: pane, pizza e pasta. Uno dei due cuori pulsanti dell’esperienza gastronomica è Spazio, la pizzeria d’autore inaugurata a maggio 2023. Qui ho avuto modo di incontrare Franco Pepe. La pizza, evoluzione sublime dell’arte panificatoria, si eleva nelle sue mani a manifesto di creatività e rispetto per la materia prima. Ogni disco di pasta diventa una tela su cui dipingere l’incontro tra tradizione campana e eccellenze sarde. Come a Caiazzo, anche da Spazio si può intraprendere un viaggio gustativo attraverso un percorso degustazione di spicchi diversi o optare per una singola pizza. La mia cena è iniziata con Spazio mare, una creazione che celebra l’essenza del mare sardo: una pizza fritta con stracciatella di bufala DOP, gambero rosso, misticanza e lime, in un equilibrio perfetto di sapori e consistenze. Il momento per me atteso è stato l’arrivo della Margherita sbagliata, un omaggio al territorio d’origine di Pepe. Questa creazione incarna la sua filosofia: un amore profondo per le storie e le materie prime, interpretate in modo da esaltarne ogni sfumatura. Realizzata con mozzarella di bufala campana DOP, passata di pomodoro riccio e una riduzione di basilico, questa pizza è un tributo al pomodoro riccio di Caiazzo, preservandone i preziosi caratteri nutrizionali. Ho chiesto a Pepe quale sia la sua visione della pizza, che cosa significhi per lui: “Ognuno ha un talento” mi ha detto. “Io ho la capacità di interpretare l’impasto e il territorio con creatività. Quando creo una ricetta, trovo gli stimoli più importanti per il mio percorso di vita”. Creare per reinventarsi, alimentare la propria curiosità, la propria fame di scoperta. Per stare vivo. Il menu comprende 15 pizze, spaziando dai classici di Caiazzo alle creazioni esclusive per il 7Pines. Molto interessante la Senti-menti di Gallura con fior di latte affumicato, carciofo spinoso sardo DOP, carpaccio di bue rosso, olive scabecciu, olio al finocchio di mare e un’eterea aria di pecorino sardo DOP. Così come La Ritrovata, ispirata alla marinara, ripercorre la memoria gustativa di Pepe che ha ritrovato, appunto, il sapore della pizza di suo padre, ugualmente pizzaiolo: passata di pomodoro San Marzano DOP, pignolo del Vesuvio DOP, capperi disidratati, polvere di olive nere caiazzane, filetti di alici di Cetara, olio tagliato e basilico fritto. La degustazione della Scarpetta ha rappresentato l’apice della mia esperienza. Questa creazione, che unisce mozzarella di bufala campana DOP, fonduta di Grana Padano DOP 12 mesi, composta di pomodoro a crudo, pesto di basilico liofilizzato e scaglie di Grana Padano DOP 24 mesi, è una sinfonia di sapori. Le parole di Pepe risuonano ancora: “La pizza non è solo forma, è tornare al palato. Se riusciamo a leggere il palato, ci salviamo”. Un approccio profondo che si esprime nella ricerca costante della materia prima allo scopo di elevarla, reinventando e divertendosi con gli ingredienti nel loro totale rispetto. La cena si è conclusa con un omaggio alla Sardegna, dove un impasto di pizza fritto è stato riempito con peretta di Olbia e guarnito con miele di corbezzolo e polvere di mirto. Un ricordo della seada con un arricchimento dato dalla ricerca di Pepe e dalla curiosità verso il territorio sardo e le sue specificità. La filosofia di Franco Pepe: un equilibrio raffinato tra gusto e benessere Durante la nostra conversazione, ho scoperto un aspetto affascinante di Pepe: il suo passato come insegnante di educazione fisica, parallelo al lavoro nella pizzeria di famiglia. Questa duplice esperienza ha plasmato profondamente la sua filosofia lavorativa ponendo l’equilibrio tra gusto e nutrizione come pilastro fondamentale del suo approccio, in un’ottica di costante perfezionamento del prodotto. Questa ricerca dell’equilibrio si manifesta in sette sue creazioni emblematiche, tra cui spiccano la Margherita Sbagliata e la Ritrovata. Queste pizze sono veri e propri oggetti di studio scientifico, frutto di collaborazioni con l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Brescia, che hanno portato il

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