Intervista a Gaia Gionchetti, food event manager che dalla Sardegna è volata a Shanghai, dopo anni di esperienze tra le sale e le cucine più ambite d’Italia, da Giancarlo Morelli ai fratelli Cerea.
Un concentrato di energia e ironia. Questi sono i primi due aggettivi con cui descriverei Gaia Gionchetti.
Il suo grande amore per il cibo l’ha condotta a una carriera nel mondo enogastronomico a fianco di nomi prestigiosi a partire da Giancarlo Morelli sino ad arrivare ai fratelli Cerea, professionalizzandosi nel settore eventi del mondo food&beverage.
Oggi la troviamo in oriente, a Shanghai, dove vive da quasi un anno con il compagno Stefano Bacchelli, due stelle Michelin al ristorante Da Vittorio Shanghai.
Gaia mi ha virtualmente accolta a casa sua, ospitandomi per un’intervista che si è trasformata in una chiacchierata in cui mancava solo una bottiglia di vino da condividere. Mi ha raccontato della sua vita a Cagliari e della sua gavetta in unsettore professionale di grande prestigio ma ricco di ostacoli, soprattutto quando sei una donna. Svelandomi il suoanimo sensibile, abbiamo parlato di come si arriva a lavorare in questo campo e di come si vive oggi in Cina.
Chi è Gaia Gionchetti?
Raccontare la mia infanzia non è semplice. Ho sempre tenuto tanto all’armonia e la ricercavo ovunque. Ho imparato il mio mestiere in mezzo al cibo, e nonostante io abbia una formazione commerciale, questa è la mia vita.
Quando attraverso una cucina ho la pelle d’oca. Sono cresciuta in cucina, fra donne, con le sei sorelle di mia nonna materna, tutte single, da cui ho imparato a conoscere il valore delle materie prime. Con l’altra nonna paterna, tipica donna tutta d’un pezzo, ho compreso l’amore per il cibo e, quando mi invitava a pranzo, diventava la persona più affettuosa del mondo.
Ho capito negli anni che l’elemento persistente e legante della mia famiglia era il cibo, ha creato momenti indimenticabili. Anche qui a Shanghai trovo dei riferimenti alla mia famiglia, tra oggetti, profumi e sensazioni. Quindi se devo dire chi è Gaia Gionchetti è una persona che nel cibo ha ritrovato tutta sé stessa.
In che senso il cibo è stato un legante per la tua famiglia?
Perché in quel momento di condivisione c’era un affetto sincero. Mia madre ha sempre cucinato tantissimo. Io tornavo da scuola, pranzavo e poi studiavo sempre in cucina. Nel pomeriggio lei preparava la cena e io per esempio intingevo il pane nel sugo. Devo moltissimo a mia madre, ha dato tutta la sua vita a me e mio fratello e per noi è un grande punto di riferimento.
A quanti anni entri nel settore enogastronomico?
A sei anni ho ricevuto il primo libro di ricette in regalo, posso dire che nel settore enogastronomico ci sono sempre stata. Stare in cucina è sempre stato un bisogno. Ero molto portata per i dolci, nonostante non mi faccia impazzire mangiarli. Sin da bambina io ero inconsapevolmente già in questo settore.
Come possiamo definire il tuo lavoro?
Sono un consulente enogastronomico e organizzo eventi per il settore food and beverage. Il mio lavoro di consulenza tocca tutti gli aspetti commerciali: posso organizzare itinerari, cene di fidanzamento o fiere da duemila persone o posso affiancare chi desidera aprire un’attività, facendo in modo di dargli tutti gli elementi di cui ha bisogno, come menu, liste vini, fornitori, collaboratori eccetera.
Qual è stato il tuo percorso per diventare consulente enogastronomico per il commerciale?
Io sono partita da una strada totalmente differente da questa, ma in un certo momento della mia vita ho capito che non potevo più lavorare solo per mantenermi. Volevo di più. A 26 anni mi sono ascoltata e ho capito di voler fare ciò che mi dava più stimoli.
Studiavo e facevo spesso la cameriera, ma nel 2006 ho fatto la mia prima stagione in un ristorante della Costa Smeralda come pr e responsabile cassa. Nel 2008, io e un’amica abbiamo messo in piedi un piccolo laboratorio di cucina per fare catering. Mentre mi occupavo della pasticceria salata e della parte commerciale per quest’attività, portavo parallelamente avanti altri lavori per mantenermi.
Intanto continuavo a studiare e nel 2010 ho preso una seconda laurea in Diritto del lavoro con una tesi sui diritti della donna nel settore pubblico (la prima è in Diritto Amministrativo).
Finiti gli studi capisco che la cucina è la cura della mia anima. Mi sentivo già adulta per la brigata e allora mi sono dedicata alla parte commerciale della ristorazione. Sono diventata sommelier, ho lavorato per un’azienda francese di food packaging e ho seguito l’apertura di un beach club per cui gestivo la parte sponsor.
Nella stessa stagione è arrivata l’offerta irrinunciabile del Phi Beach per cui seguivo l’organizzazione di cucina, sala ed eventi del ristorante di Giancarlo Morelli. Qui, durante la manifestazione della settimana Phi Gourmet, dove si incontravano chef stellati, ho conosciuto Chicco Cerea. Due mesi dopo ero una delle 4 event manager per il ristorante Da Vittorio a Brusaporto dove sono rimasta per sei anni, finché lo scorso anno mi sono trasferita definitivamente a Shanghai.
Come avviene questo lavoro?
Il lavoro duro avviene nella trattativa. Il prodotto di livello si vende da solo. Chi chiama un catering di questo calibro sa bene la tipologia di proposta economica che riceverà: la scelta avviene sulla base dell’attrattiva dell’offerta.
Si ascolta il cliente e le sue esigenze e in base al budget gli si fa una proposta ad hoc. Se non hai sensibilità e intuito non chiuderai il contratto. Anzi, penso che se non ce l’hai non potrai mai lavorare in cucina. Una lasagna, preparata senza passione, è solo una sfoglia di pasta all’uovo condita. L’emozione, il trasporto e la sensibilità, appunto, le regalano un’anima e una storia.
È così anche negli eventi: il lavoro avviene capendo il cliente al di là di quello che ti chiede e immedesimandosi nelle sue idee.
In un certo senso è emozionante riuscire a capire il cliente, vero?
L’emozione più grande sta nel ricevere a fine evento i complimenti del cliente che si è affidato a te e che ancora dopo anni ricorda quell’evento come memorabile per sé e i suoi ospiti.
Com’è essere donna in questo settore?
Difficilissimo: o vieni vista come una rompi scatole oppure come troppo debole. In questo settore siamo sempre costrette psicologicamente a dimostrare di essere all’altezza di ciò che facciamo o a provare che meritiamo quel posto, ma le donne non dovrebbero dimostrare niente a nessuno.
Devi bilanciare il tuo sapere con il sapere dei tuoi referenti generalmente maschi, oltre che tenere a bada i tanti pregiudizi. A Milano mi è capitato di consegnare un curriculum in un ristorante molto rinomato e il titolare non mi ha nemmeno fatto fare una prova perché, a detta sua, lì le donne durano poco a causa dei ritmi di lavoro.
Comunque aggiornamenti, studi e corsi di settore sono basilari. Siamo figlie di una società patriarcale e maschilista in cui si sente ancora dire che le donne preferiscano il vino bianco profumato e che a tavola non abbiano argomenti.
Io ho studiato qualunque cosa e continuo a farlo. Ho fatto per esempio anche un corso di pasticceria salata con Knam e il corso di somministrazione alimenti e bevande della Confcommercio. Non mi servono per cucinare a lavoro, ma per avere una cultura ampia sul settore che ho scelto. Non è cosa fai, ma come. È importante essere settoriali ma avere un’ampia cultura.
Sai, mi sono un po’ pentita di aver scoperto tardi che la mia essenza era dentro un pacco di farina o in un piatto al ristorante. Avrei iniziato prima, oggi saprei ancora più cose, ma la vita non la puoi gestire a tavolino e quando non hai una struttura economica forte alle spalle devi pensare prima a mantenerti e poi a realizzare i sogni.
Io non penso tu ti debba pentire: quello che sei oggi lo devi al tuo percorso.
Assolutamente sì, ma avrei utilizzato meglio alcuni anni. Per questo non ho una risposta standard per come si diventi consulente e food event manager. L’unica cosa certa che so è che serve studiare. Vorrei dire ai più giovani di non usare la cucina come passatempo o diversivo.
Ci sono pochi autodidatti che sono davvero in grado di fare il loro mestiere ed esiste solo una chiave del successo: studiare e fare esperienza vera sul campo. Vedo sempre più guru in qualsiasi settore, studiano un anno e quello dopo stanno già dando lezioni. Ci sono anche nel nostro settore. Non puoi proporti come professionista dopo un anno: il lavoro è impegno, sbagli, aggiustamenti, crescita nel tempo. Se pensi di essere arrivato, o peggio te lo fanno credere, solo dopo un anno o due c’è un problema.
Come si mangia a casa di una consulente enogastronomica e di uno chef stellato?
Si mangia sano dal martedì alla domenica. Poco olio, tanto forno e vapore. Pensa che sono così amante del forno che ho comprato lo stesso che usavo in Italia. Io e Stefano mangiamo qualsiasi cosa, variando il menu in maniera salutare ma sfiziosa.
Il lunedì invece abbiamo il nostro giorno libero e andiamo a provare qualsiasi cucina a Shanghai. È troppo divertente.
Fra te e lui, a casa chi cucina di più?
Cucino solo io. (Ride). Non cucino piatti cinesi perché li mangiamo spesso fuori ma mi diverto a usare tutte le loro materie prime.
Qui è il tuo piatto forte?
Polpette al sugo e plumcake alle mele. Stefano adora anche il mio pollo al curry.
Com’è stato cambiare la tua vita per vivere in Cina?
Lasciare le mie entrate in Italia richiedeva un grande atto di coraggio. La data esatta del trasferimento è arrivata in concomitanza con il Covid, che mi ha obbligata a fare in fretta le valigie perché il mio settore è morto subito. Ho voluto farlo perché sentivo che era il momento giusto per crescere.
Alla luce di questo, posso dirti che nonostante sia un po’ tesa e nervosa a causa della pandemia, sono felice e mi sto ambientando molto bene. Shanghai è splendida.
Sto studiando cinese. Mi avevano sconsigliato di studiarlo dall’Italia, perciò una volta qui ho cominciato delle lezioni e ho già conseguito il livello elementare all’università. Mi sento una bambina di due anni che sta imparando a comunicare, è una sensazione strana ma mi fa sentire viva, come qualunque cosa io faccia qui. Ogni giorno è una scoperta.
Shanghai è una città comodissima e facilissima da girare. Ciò che non è facile è la cultura perché c’è grande differenza e per viverla appieno devi avere voglia di andare nello spazio. Sì, è proprio il paragone giusto, perché ti catapulta in un posto lontano anni luce da quello che hai sempre conosciuto. Se sei curioso, passi il tempo col sorriso sulle labbra a stupirti di ogni cosa.
Parlami di dove fai la spesa lì e se attorno hai degli street food interessanti.
Viviamo in un compound fatto di quattro palazzi, mega palazzoni con portineria e le portinerie interne con giardino, fontane, statue. Qui attorno non ci sono tanti street food. Ma ci sono comunque tanti supermercati dove cucinano i piatti davanti a te e si trova un po’ di tutto. Trovo persino i prodotti Arborea e acquisto sempre il Gran Campidano.
Di solito uso le app per fare la spesa perché ti portano in mezz’ora qualunque cosa anche dalle botteghe piccolissime e senza sovrapprezzo.
La cosa più particolare che hai mangiato?
Qui la tartaruga d’acqua è un ingrediente di largo consumo che usano spesso in brodo o gelificata. Se vai in un ristorante in cui parlano solo cinese, all’inizio non capirai che cosa stai mangiando e l’ho assaggiata più di una volta per sbaglio.
Ti manca la Sardegna?
Abbastanza da sentire una stretta al cuore ogni volta che vedo qualcosa che me la ricorda. È dentro di me e si sente anche dall’accento che mi contraddistingue. Per me la Sardegna è l’odore di ginepro, cisto e mirto che senti appena apri il finestrino nella zona di Olbia. Vado fiera dei nostri sapori. Pensa che appena arrivata qui ho fatto i culurgiones.
Chiudiamo con un ristorante che consiglieresti in Sardegna.
Te ne dico due, uno di mare e uno di terra. Achille Pinna a Sant’Antioco e Il Rifugio a Nuoro. Mi rendono sempre molto felice.
E un vino?
Quelli della Cantina Lilliu, in particolare Dicciosu e Mendula.
Ultima domanda: raccontami un aneddoto divertente del tuo lavoro.
Una mia cliente ha l’incubo dell’acqua a temperatura ambiente: si preoccupava perché a tutti gli eventi che organizzavamo ci fosse solo acqua a temperatura ambiente. Era ossessionata, temeva che l’acqua un po’ fredda potesse far male agli invitati che poi dovevano correre in bagno, perciò ci faceva mille raccomandazioni come se fosse l’elemento più importante. Mi faceva sorridere perché dietro ogni suo evento c’era un investimento enorme, ma il suo maggior problema era la cosa meno costosa. Mi manca molto, era la mia preferita e la conoscete tutti. Chiaramente non posso dire il nome.
Grazie a Gaia per essersi raccontata e avermi fatto scoprire il suo mondo. La trovate su Instagram cercando @lagastrocinica.