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Viaggio a Shanghai nella visione gastronomica di Stefano Bacchelli

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Viaggio a Shanghai nella visione gastronomica di Stefano Bacchelli

Torno a scrivere nel mio spazio online e lo faccio parlando di uno dei luoghi che più mi ha accesa nell’ultimo anno.

Nel mio viaggio in Asia, ho trascorso una piccola parentesi a Shanghai. La Cina non era in programma ma dal 1° dicembre 2023 i passaporti italiani non necessitano il visto e questo è stato un incentivo a vivermela per una settimana.

Shanghai è una città con una pelle spessa la cui corazza rende difficile l’accesso a chi, come me quei giorni, era lì solo di passaggio. Ciò che ti regala uno specchio più diretto verso questo mondo velocissimo, e con una visione fortemente business, è la possibilità di passare dallo sguardo di chi qui ci vivono da diversi anni.

Grazie a Gaia Gionchetti e Stefano Bacchelli ho avuto accesso a una delle bolle gastronomiche della città, quella basata sul fine e casual dining che, da sola, non avrei potuto avere qui.

Dalle mie pagine di diario gastronomico, tornano i miei racconti su questo sito.

Shanghai: un impatto di pancia

Sono atterrata alle 6 del mattino e, ad accogliermi all’aeroporto c’era Aming, un driver sulla quarantina elegante e sorridente che, in un’ora di auto, mi ha portata a casa di Gaia Gionchetti e Stefano Bacchelli.

Vivono nel centro storico in un palazzo di 33 piani insieme a Cina, la loro figlia a quattro zampe che hanno adottato due anni fa. Mi accolgono con un caffè preparato con la moka. Dopo due giorni di voli e “dormite” nelle panchine di tre aeroporti, è esattamente ciò di cui ho bisogno insieme a una lunga doccia calda.

Sono stanca ma euforica, per cui nonostante il fuso (con l’Italia, ci sono 7 ore di differenza) ho solo voglia di uscire ed esplorare.

Gaia, che si occupa di consulenze gastronomiche e organizza food tour in città, sarà la mia guida a Shanghai. Per questa settimana assieme, ha cucito un food tour su misura per me che mi ha fatta commuovere, ridere, godere, stupire. Ho provato tante di quelle emozioni che le tappe che ha scelto e il senso con cui le ha messe assieme meritano un articolo a parte. 

In questo, invece, scelgo di concentrarmi nell’altro aspetto che mi piace di più dopo mangiare: parlare con le persone che preparano da mangiare. 

Con Stefano Bacchelli ho avuto la fortuna di vivere entrambi gli aspetti. Sono entrata prima nel mondo del da Vittorio Shanghai, di cui è executive chef sin dall’apertura nel 2019, e poi in quello di Scilla, il suo più recente progetto gastronomico con una cucina che si è rivelata tra le più belle ed entusiasmanti che abbia mai vissuto.

La cucina per lui è esattamente ciò che per me è la scrittura: è il mezzo attraverso cui esprime se stesso. Nella ricerca, nella tecnica e nella creatività trasmette la visione che ha del filo italo-cinese che si è creato a piccoli passi e in silenzio con un’ambizione e determinazione che lo hanno reso uno dei cuochi più interessanti al momento nel panorama internazionale.

La sinergia tra Italia e Cina nella cucina di Stefano Bacchelli

Stefano Bacchelli

Stefano Bacchelli, classe 1987, è di Massa, Toscana, e alle sue origini si legano i ricordi che da sempre lo vedono in cucina. “Nella mia infanzia e adolescenza non ho nulla di diverso da qualsiasi bambino cresciuto in Italia” mi dice. “Io in cucina ci sono nato e a casa si cucinava molto bene. Utilizzavamo tanti ingredienti di nostra produzione e andavamo spesso a cena fuori. Certo non era fine dining, ma c’era sempre una scusa per mangiare insieme. Una famiglia unita dove il cibo era importante”.

Dopo l’alberghiero comincia a lavorare in cucina, prima con esperienze nella sua regione e poi, seguendo l’ambizione che trasmette in maniera decisa, arriva in Francia. “I gusti e il palato li ho allenati sin da piccolo. Non mancava mai il ragù, il brodo, le polpette con la carne di bollito, le lasagne stordellate. La cucina di casa per me è sempre stata un riferimento perché sono ossessionato dagli ingredienti semplici però sapevo anche che volevo crescere e vedere qualcosa di nuovo”. 

Parlando con lui mi rendo conto quanto quel desiderio, quella fame di curiosità e scoperta, dovessero essere davvero forti per portarlo dall’altra parte del mondo. “All’inizio non è stato semplice per mille motivi, tra cui la differenza culturale, le materie prime completamente nuove e quelle italiane difficili da reperire. Ma la sfida stava in questo e lo sapevo”.

La cucina del da Vittorio Shanghai della personalità di Bacchelli ha tanto, soprattutto nell’arricchimento che è stato in grado di regalargli disegnando le nuove potenzialità d’espressione basate su continua ricerca e studio. 

“Ho trascorso il primo periodo a esplorare i gusti locali. Sai quante stagioni ci sono in Cina?” mi chiede ridendo. “Ce ne sono 36. E con un territorio vasto come questo puoi solo immaginare la ricchezza gastronomica che ha questo posto”. La sua proposta passa per l’osservazione e il contatto con il luogo, interagendo con il territorio, selezionando e reinterpretando.

Quello al da Vittorio Shanghai è il mio primo pranzo in città. Siamo nel Bund Financial Centre. Salgo con l’ascensore e mi accoglie QQ che ci porta al tavolo proprio davanti alla cucina dove posso godermi lo spettacolo della brigata che alterna testa china a risate e chiacchiere.

Chissà cosa si dicono in quella cucina multiculturale dove Italia, Francia, Turchia, Cina riescono a lavorare e scherzare in servizio trasmettendo un’atmosfera rilassata che, dalla postazione privilegiata da cui li osservo, mi fa venire il desiderio di entrare ad ascoltare. Anche in sala l’atmosfera è distesa. 

Al mio tavolo, Declan mi presenta dei vini cinesi che mi sorprendono e scopro che la Cina ha delle importanti zone produttive che permettono di fare un’interessante selezione.

Il menu è un viaggio fra piatti eleganti preparati con ingredienti che in buona parte non conosco e che mi consentono di assaggiare una parte del lavoro che Bacchelli ha fatto per portare qui una cucina che trasmettesse la sua lettura personale della cucina italiana e cinese nel rispetto identitario di entrambe attraverso idee ricercate e sensibili.

Così, per esempio, colpisce subito il chawanmushi, che scopro essere un budino di latte, uova e dashi generalmente servito in Asia come antipasto.

Qui diventa la base su cui accogliere il caviale all’interno della scatolina dorata, in una proposta delicata e che sarà poi tra i miei preferiti di tutto il pasto così come gli scampi della Nuova Zelanda, beurre blanc al miso e caviale.

Arriva un’impronta italiana con le linguine, servite con fish maw e salsa pil pil. Le fish maw sono un pregiato ingrediente della cucina cinese, ovvero la vescica natatoria del pesce giallo. Quelle che predilige Bacchelli sono invecchiate 15 anni per un piatto che è un’esplosione di gusto.

Arriva poi la ricetta che considero la più commovente di tutto il percorso, sia per il gusto, sia per l’esperienza personale e sia per ciò che lo chef esprime. La double duck, ovvero l’anatra in doppio servizio, è probabilmente ciò che da sola vale tutta l’esperienza al da Vittorio Shanghai. 


Facciamo un passo indietro: cinque anni fa mi trovavo a Milano. Il mio ex ragazzo mi aveva lasciata da sola e, per consolarmi, avevo scelto quello che per me era il miglior ristorante cinese in città. Ci ero andata a cena, mi avevano fatta accomodare al tavolo condiviso, avevo ordinato un’anatra alla pechinese senza averla mai mangiata prima e, assieme a degli sconosciuti, avevo scoperto l’arte di mangiare questo piatto rituale. Era stata una delle cene più belle della mia vita e sono per questo molto legata all’anatra alla pechinese.


Quando è arrivata al tavolo lì a Shanghai mi sono quasi commossa. È un’idea nata cinque anni fa per creare un mix di due culture: la sua e quella del luogo che lo ospita. L’obiettivo è non provare a scimmiottare un qualcosa che per loro è così ricco di tradizione. “Siamo i primi ad arrabbiarci quando qualcuno copia una nostra ricetta” mi dice. “Provare a cucinare in maniera identica un piatto che non ci appartiene è rischioso e ha poco senso. Il cibo è cultura e ognuno ha la propria. Possiamo però rendere omaggio alla bellezza e ricchezza di quella cultura rielaborando, creando qualcosa di pensato e ragionato”. 

Razza Guadong allevata vicino a Shanghai, la ricetta dell’anatra è quella classica nel primo passaggio, ovvero la maturazione. Viene cotta appesa nel forno dal collo cosicché la temperatura sia omogenea in tutte le sue parti e la carne rimanga rosata. Il petto viene servito nel piatto mentre la coscia è la parte con cui si farciscono i tortellini in brodo. Nasce così il senso del doppio servizio di questo incontro tra Italia e Cina che è una nobile declinazione di uno dei piatti più complicati e interessanti da preparare.

Tutto il menu prende vita grazie a intuizioni brillanti che reinterpretano la classicità mediandola con ingredienti accattivanti, con inserti che evidenziano con orgoglio l’eredità italiana che caratterizza le origini dello chef attraverso un menu dinamico e legato alla reperibilità e stagionalità degli ingredienti. Quello che Bacchelli è riuscito a fare nella cucina del da Vittorio Shanghai lascia un segno indelebile.

Il codice culinario di Bacchelli al Scilla

Stefano Bacchelli

Volare dall’altra parte del mondo e riuscire a portare la propria idea di cucina, di ingredienti e di servizio in un contesto culturale differente: potrebbe sembrare semplice, una normale sfida per chi lavora in cucina, ma dobbiamo pensare due cose.

La prima è come la cucina italiana venga spesso adattata ai gusti dei locali in ogni parte del globo, tanto da farci trovare storpiature di ricette che, nel complesso, fanno vacillare l’identità gastronomica nazionale.

La seconda è che non stiamo parlando di un posto qualsiasi ma della Cina, in cui la fatica nel reperire gli ingredienti è data da un mercato con controlli rigidissimi e che rafforzano le barriere. Molte aziende non sono strutturate per l’export e la Cina dà priorità ai propri prodotti.

Bacchelli non solo queste barriere le ha abbattute ma è riuscito nell’intento di rappresentare appieno una finestra dell’Italia non stereotipata, a tratti contadina, creando un dialogo coerente e coraggioso tra il bel paese e la Cina.

Scilla, che è il quarto progetto di Bacchelli in cinque anni in Cina, è un progetto aperto nel 2023 ideato e realizzato da lui con Yunmi group.

Si ispira al viaggio e ai profumi, con il nome di un pittoresco borgo di pescatori sulla costa calabrese, ma anche di un fiore. È un’oasi mediterranea nel cuore di Shanghai all’interno di una villa con giardino risalente al 1936 nel pieno centro urbano.

Il concetto è quello del profondo rispetto per la natura, per la cultura gastronomica italiana e gli elementi semplici, portati in tavola con tecniche culinarie meticolose, plasmando uno stile unico che esalta i sapori naturali del Mediterraneo.

Scilla è stata la mia conclusione del 2023 e il mio inizio 2024. È difficile sintetizzare la qualità del percorso che ho vissuto che combina un tocco moderno e un’anima radicata nella tradizione, stuzzicando e impressionando con una cucina italiana che risulta perfetta. I piatti sfruttano abilmente gli elementi noti di un racconto coinvolgente e autentico, intrecciato con la storia del mediterraneo e dello chef.

Cocktail da Scilla  | © Jessica Cani

Si parte con una carta dei cocktail ispirata ai viaggi nel mediterraneo, con un menu che sembra una cartolina vintage.

La narrazione del forte legame con le proprie tradizioni si riflette anche nel design del ristorante e nella mise en place, dove anche i piatti, meravigliose ceramiche realizzate a mano in Puglia e presenti in Cina in esclusiva per Stefano Bacchelli, sono in armonia cromatica con ogni dettaglio.

Le portate arrivano al palato in maniera decisa ed efficace, i gusti sono netti ed equilibrati. È come essere a teatro, assistendo a uno spettacolo che porta temi di grande spessore ma con un’accessibilità e immediatezza che solo un grande attore è in grado di trasmettere. Così è la cucina di Stefano Bacchelli: perfettamente comprensibile, dettagliatamente studiata.

Il sipario di Scilla si apre con una brioche calda con baccalà mantecato e caviale da mangiare con le mani, seguito da un carpaccio di ricciola con insalata di agrumi alla vierge.

È uno spettacolo a mano libera in cui sembra di rimbalzare amabilmente da un dialogo a un altro perfettamente messi insieme creando il preludio perfetto per il grande monologo che lo chef si prepara ad affrontare con il suo pubblico.

Si continua con un’aragosta blu con zucca, tartufo nero di Sichuan e salsa al vino giallo, seguiti da uno zabaione di funghi morchelle e tartufo bianco.

Quello che ritrovo nei piatti è una cucina di godimento, dove il casual dining diventa un’interpretazione perfetta ma accessibile. È un’opera teatrale che parla al pubblico, come in un dialogo tra maestro e allievo che diventa sempre più arricchente.

Con i ravioli ripieni di anatra brasata, consommé di cipolla e scorza disidratata di arancia del Guandong raggiungo apici di meraviglia, con un piatto che mima la classicità italiana e regala in bocca grandi equilibri.

Si prosegue con quello che ho inserito fra i piatti più belli di sempre: il cacciucco alla livornese in casseruola. Un piatto preparato in maniera magistrale, la migliore zuppa di pesce che abbia mai mangiato.

La cena si chiude con due dolci: prima i profiteroles, cioccolato e crema chantilly, e infine uno scenico carrello del gelato che chiude in maniera divertente la splendida opera di Bacchelli: gelato fiordilatte mantecato al tavolo e servito, a scelta, con frutta di stagione, crumble e salsa al cioccolato e caramello.

Nessun effetto speciale, solo gusto, semplicità e voglia di esprimersi attraverso una ricerca meticolosa e una cucina ispirata a casa propria che mixa la curiosità per il mondo. 

Nella cucina di Bacchelli si percorrono le strade di un viaggio personale, un’interpretazione che si snoda attraverso il Mediterraneo. L’alimentazione diventa un codice di comunicazione, un mezzo di scambio culturale e di auto-rappresentazione.

Ogni ingrediente e piatto sono strumenti di dialogo, capaci di portare alla luce diverse filosofie. Il cibo veicola messaggi, e quello dello chef toscano racconta una visione di cucina fondata su pochi ingredienti ma ricca di gusto e significato.

Questi messaggi delineano i confini della nostra cultura alimentare, che si ridefinisce costantemente grazie agli scambi, vero motore di crescita e sviluppo. La cucina di Bacchelli, con la sua semplicità e profondità, rappresenta un linguaggio universale che parla di tradizioni e connessioni. Quelle che è stato brillantemente in grado di creare nel tempo istituendo un nuovo codice gastronomico che lo identifica e che esalta l’italianità.


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